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15 marzo
Purgatorio
Testo: Marco Picerno

 
© M-Sport
 
L'alba di un Medioevo letterario si staglia, coi suoi chiarori rossastri, nel cielo scrutato con curiosità da due autorevoli viandanti. Uno dei due è Virgilio - in una veste in un certo senso antesignana dei copiloti protagonisti, qualche secolo più tardi, delle corse su strada - e l'altro è il Sommo Dante, entrambi intenti a vagare sulla spiaggia del Purgatorio alla scoperta del regno di mezzo, della seconda tappa di un prodigioso viaggio verso la redenzione.


È in questa ambientazione dai contorni sfumati e carichi di speranza che va in scena un incontro inaspettato. La strada del poeta fiorentino si incrocia con quella di un'anima penitente: si tratta di Casella, musico e cantore a cui una sincera amicizia lo aveva legato nella vita terrena. Recitano i versi 76-78 del Canto II:


Io vidi una di lor trarresi avante

per abbracciarmi con sì grande affetto,

che mosse me a far lo somigliante.



Tra le persone pentitesi dei propri peccati emerge dunque questa figura familiare, spinta da uno spontaneo e intenso desiderio di abbracciare Dante, inducendo quest'ultimo a compiere un gesto analogo. E quando, superato lo stupore iniziale, il vecchio artista chiede al narratore il motivo della sua apparizione in quel luogo inconsueto, egli spiega:


Casella mio, per tornar altra volta

là dov'io son, fo io questo viaggio



Ossia, quelle ricognizioni svolte sul percorso dal poeta si prefiggono lo scopo di prendere coscienza delle proprie colpe, in modo da poter tornare, quando la morte porrà fine ai suoi giorni, direttamente nel purgatorio, evitando le infernali prove speciali incastonate nella «selva oscura».


La potenza di un abbraccio è tale da scardinare le serrature dello spazio-tempo, e anche degli espedienti letterari, riprendendo forma e vigore in un contesto che, di certo, neanche la florida fantasia di Dante avrebbe potuto raffigurarsi.


Lo scenario della Power Stage svedese di Umeå è decisamente più frizzante di quello appena descritto, nonché dai contorni alquanto più innevati; i penitenti in questione indossano giacconi neri con la scritta M-Sport, ed il Casella moderno e anglofono risponde al nome di Malcolm Wilson. Uno che in carriera si è sia scottato con le fiamme dell'Inferno, che inebriato delle gioie del Paradiso.


Il Dante del WRC è ovviamente Ott Tanak.


Il ricongiungimento con quel Team Principal ancora pienamente vivo nei ricordi di una vita precedente sembra infondere in lui un senso di pace e letizia, in grado di lenire le ferite dello spirito inferte dalla discesa negli inferi. O se volete, dall'esperienza scottante in Hyundai, marchiata da cocenti delusioni sul campo, confronti pungenti con un compagno - Neuville - forse mai amato più di tanto, e l'apparente indifferenza di un team restio a piegarsi al suo volere.


Un cammino per certi versi purgatoriale, quello che ha deciso quest'anno di affrontare il pilota estone in seno al team che lo lanciò nella mischia che conta una decade fa. Connotato da incertezze e insicurezze, nutrito da nostalgiche lusinghe, in equilibrio precario tra la razionalità e la spiritualità, «come gente (…) che va col cuore e col corpo dimora».


Il matrimonio con colossi come Toyota e Hyundai ha riempito le sue bacheche molto più di quanto abbiano concesso i suoi trascorsi con M-Sport; ma è qui che ha bramato ora di tornare, quasi rappresentasse un passaggio indispensabile verso la purificazione.


Con la vittoria in terra scandinava, e con quell'abbraccio sotto al podio così insolitamente profondo per un uomo a dir poco di ghiaccio, Ott sembra aver voluto lanciare un messaggio: nella vita è a volte necessario perdersi, per poi ritrovarsi.


E lui, a ritrovarsi davvero ci proverà, gara dopo gara.


Curva dopo curva.
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